Una voce dal profondo: Meister Eckeart (*)
p. 23
Ci sono vite che si disperdono nei mondo ed anime che vivono in Dio: c'è una filosofia della dispersione ed uria filosofia del raccoglimento. Di quella abbondano i maestri tra gli uomini, i quali si perderebbero irrimediabilmente nella vanità esteriore, se di tanto in tanto dagli abissi della divinità non sorgesse un profeta a pronunziare sulle aride ossa la sacra parola creatrice, Eckehart è un sovrano tra i profeti.
Nessuno, pur troppo, potrà ai nostri giorni, rievocare intera la figura di questo frate che, all'alba del trecento, sentì nel suo cuore come condensato in un punto sola il tesoro di vergine energia che la nobile razza germanica serbava per i futuri trionfi della vita. Nessuno dagli scarsi frammenti che ci rimangono — per virtù ed amore d'ignoti discepoli scampati dal fuoco divoratore — potrà far rivivere in tutta la sua efficacia la parola sovrumana di questo educatore di anime. Ma anche il poco che noi possediamo — per lo più frettolosi appunti e abbozzi di prediche — ha un pregio inestimabile: ci sono lampi che illuminano profondità inesplorate e lasciano intravedere cieli non mai sognati.
Questa è la sostanza della sua dottrina: la eterna sorgente della vita, il Padre da cui tutto viene ed a cui tutto ritorna, non deve cercarsi fuori di noi ma nel più intimo della nostra anima, dove non giunge nessuna cosa esterna. Egli ha fatto l'esperienza decisiva, ha sentito in sè il Creatore, ha capito che tutto dipende da quel sentimento, che l'averlo o non averlo è il supremo problema pratico della vita. Vivere è creare: chi non crea, chi si adatta comodamente alle cose come le trova è un disertore della vita.
L'insidia più pericolosa contro la vita è la finalità esteriore, la ricerca di un frutto delle azioni; con essa l'energia spirituale si degrada e si arresta, la creatura si stacca dal creatore, e, come foglia staccata dal ramo, inaridisce e muore.
L'azione mossa dalla cupidigia di cose esteriori non è che una vile contraffazione dell'azione verace che è intima generazione dell'anima, il ritmo divino della sua vita. Chi si ripromette un frutto da godere in pace, qualunque sia la veste sotto la quale egli si ammanta,, si meritala taccia di mercante usuraio. M. Eckehart applica questo concetto con una audacia che non conosce restrizioni. Ai suoi occhi è usuraio il devoto credente che aspetta il premio del paradiso, è usuraio il pensatore che appa con formule e simboli la propria vanità intellettuale. Che importa del paradiso a chi ha la religione nel cuore? Che importa a chi ha divina la mente di tutto ciò che gli uomini hanno detto o potranno mai dire di Dio?
Guai all'anima che si ferma o che si volge indietro, o che crede di aver compiuta l'opera sua! Il riposo dell'anima è su le ali dei venti, è nello sforzo continuo che oppone l'essere al non essere, la vita alla morte, è nella solitudine e nel silenzio che precede e accompna l'atto creatore. Guai all'anima che si distrae e corre fuori di sè stessa in cerca di questo o di quello! Tutte le stoltezze, tutte le viltà si riducono a questa dispersione, e la virtù non è che una eterna guerra contro la dispersione, un eterno raccoglimento dalle creature morte all'Unico vivente.
Bisogna che l'uomo si ritiri dalla superficie grossolana nell'intima sede del silenzio dove si compie senza posa la generazione divina.
«In questa sede» — sono parole di Eckehart (Ediz. Büttner, Vol. I, p, 176) — «io sono eternamente e voglio me stesso e ho coscienza di me come di colui che ha creato quest'uomo. Cosi io sono la causa di me stesso secondo il tempo e secondo l'eternità. Non ho altra nascita. Secondo il mio eterno nascimento non posso morire: io fui dall'eternità e sono e sarò eternamente. Solo ciò ch'io sono nel tempo perirà e sarà annientato: ciò appartiene al giorno fuggente e fugge con esso. Con me nacquero anche tutte le cose: io sono la causa di me stesso e di tutte le cose. Se volessi, non sarei nè sarebbero le cose. Ma se io non fossi, nemmeno Dio sarebbe. Non é necessario che tutti intendano il mio discorso».
«Allorchè venni fuori da Dio, dissero le cose: Dio è! Or questo non può apparmi, perchè, dicendo «Dio,» io mi pongo come creatura. Ma s'io penetra nell'intimo cuore della volontà divina, libero e sciolto da questa stessa volontà e dalle sue opere e da Dio stesso — allora io sono più che creatura o, meglio, non sono nè Dio nè creatura: sono quello che fui e quello che sarò ora e sempre. Qui non c'è diminuzione nè aumento: io sono qui un eterno immobile che muove tutte le cose. Qui cessa nell'uomo ogni ragione di Dio, perchè l'uomo con lo spirito di povertà e di raccoglimento ha riconquistata la sua eternità. Dio è qui pienamente trasfuso nello spirito.
«Chi non intende il mio discorso lo lasci da parte. Non intende questa verità se non chi è maturo per essa. Perchè essa è verità che trascende ogni pensiero, che procede immediatamente dal cuore di Dio».
Questo è Meister Eckehart al quale Dio mai nulla nascose: Dia ist Meister Eckehart dem Got nie niht verbarc.
(*) MEISTER ECKEHART. Schriften und Predigten. Aus dem Mittelhochdeutschen übersetzt und herausg, von Herman Büttner — Leipzig. Eugen Diederichs.
Questa nuova splendida edizione degli scritti del grande mistico tedesco è un grato avvenimento per gli amanti di filosofia divina. Il I volume à uscito nel 1903, ed altri due volumi sono in preparazione. L'edizione, adorna di belle incisioni di J. V. Cissarz, é, sotto ogni riguardo, un vero gioiello. Per gli stessi tipi di Eugen Diederichs vedranno presto la luci opere scelte di Joh, Tauler e di Henrich Suso, i due più prossimi figli spirituali di M. Eckehart, la Theologia Deutsck tanto ammirata dallo Schopenhauer, opere scelte di Jacob Böhmte e Der Cherubinische Wandersmann di Angelus Silensius. Tutte queste gemme della letteratura mistica saranno presentate ai lettori del Leonardo.
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